#noirestiamoacasa … ma guardiamo con speranza fuori!
In questi giorni complicati, in cui per forza di cose il tema principale delle nostre preoccupazioni è il confronto con la malattia, la solitudine e la forzata distanza sociale dai nostri affetti e dalle nostre più consolidate piccole abitudini, cerchiamo di allontanarci un attimo dalle ansie del presente e del futuro, per capire e comprendere come la paura della malattia, magari portata dall’esterno, dallo sconosciuto, è stata più volte una caratteristica della nostra storia, della nostra cultura ed anche, sembra strano, delle nostre città, attraverso luoghi simbolo che ancora oggi testimoniano sia questi momenti critici che la certezza che sono passati e la nostra vita è proseguita.
Se ripercorriamo, oggi con la mente, i luoghi e la storia delle nostre città, dei nostri borghi, scoveremo sicuramente una testimonianza di una carestia, di una pestilenza, di una guerra, di un avvenimento distruttivo che doveva sconfiggerci e che invece ha sicuramente modificato il nostro modo di vivere ma non lo ha impedito.
Roma, la città che ospita la redazione del nostro blog, è piena di queste testimonianze, che raccontano una città da sempre “capitale” e punto di incontro da secoli, di scambi commerciali, pellegrini, eserciti, turisti. Se, come dicevano i nostri nonni, “tutte le strade portano a Roma”, immaginate che attraverso quelle strade è passato di tutto, come si dice nei matrimoni “in salute e malattia”.
Basta passeggiare (a fine emergenza perché adesso #iorestoacasa ) per Roma per scoprire che da sempre la città si è dovuta confrontare con la malattia, specialmente con quella involontariamente portata dai “fuoriporta” (legionari, pellegrini, eserciti, ecc). E, come oggi ci viene richiesto, la prima arma sanitaria utilizzata è stata cercare di riservare alla cura dei malati dei luoghi dedicati e periferici dal cuore della città che evitassero la propagazione di malattie, moltissime volte nuove e sconosciute.
Ecco allora che, nell’antica Roma, il “Tempio/Ospedale” dedicato ad Esculapio, era collocato sull‘Isola Tiberina, dove ancora oggi, per quegli strani collegamenti della storia, esiste un importante ospedale cittadino il “Fatebenefratelli“.
Ecco che storicamente il primo ospedale cittadino, il San Giacomo, nasce nel medioevo il più vicino possibile a Porta del Popolo, principale punto di ingresso di tutti i visitatori e pellegrini, provenienti dal nord, attraverso Cassia e Flaminia. L’Ospedale, era dedicato a San Giacomo Apostolo, proprio in quanto protettore ed ispiratore dei pellegrini e dei loro cammini ed era soprannominato a Roma, “ospedale degli incurabili” proprio perché ospitava, nella gran parte dei casi, malati per i quali non c’era cura e per i quali l’unica soluzione era assisterli ma tenerli lontani dal cuore cittadino.
Con l’aumentare dei pellegrini e dei giubilei viene costruito “a supporto” di Borgo e San Pietro, l’ospedale del Santo Spirito, ancora esistente ed operante.
L’Ospedale Santo Spirito in Sassia
La costruzione dell’Ospedale di Santo Spirito si deve nel 1198 al Papa Innocenzo III ( 1198- 1216) nel primo anno del suo Pontificato; distrutto da un incendio nel 1471 , venne ricostruito da Papa Sisto IV.
L’Ospedale del Santo Spirito ha costituito nella Storia Ospedaliera romana, oltre che un centro di cura e di assistenza, una importante sede di insegnamento della Medicina; per la presenza della Biblioteca creata dal Lancisi, e di un attrezzato teatro anatomico.
Il Santo Spirito possedeva anche una propria “Spezieria” conosciuta come centro di produzione e smistamento della polvere ricavata dalla corteccia di China, allora molto in voga per il trattamento delle forme febbrili, in particolare della malaria assai diffusa nell’ agro romano. Nell’organizzazione amministrativa e sanitaria della Roma pre unitaria, il Santo Spirito aveva competenza anche su tutta la zona dell’agro romano che andava dalla Cassia al litorale. Zona purtroppo ricca di paludi e quindi soggetta a febbri malariche frequenti. L’ospedale aveva proprie aziende agricole che producevano, nella zona di Maccarese e Torre in Pietra, frutta, verdura, formaggi, che servivano alla corretta nutrizione dei malati.
Nell’ala settecentesca dell’Ospedale è situato il Museo dell’Arte Sanitaria, di cui, una volta passata l’emergenza, consigliamo la visita.
Il Museo nazionale di Storia dell’Arte Sanitaria
Il Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria è distribuito tra nove ampi locali, il più grande dei quali è la sala Alessandrina, un tempo adibita al ricovero dei feriti e denominata “Ospedaletto per feriti” e collocata al piano terra. La sala è lunga oltre 33 metri e poteva ospitare fino a 64 letti.
Attraverso uno scalone si accede al piano superiore dove troviamo le altre sale. Ai due lati dello scalone vi sono dei busti di medici illustri, tra cui Ippocrate e Giovanni Maria Lancisi, realizzatore della Biblioteca medica. Sulla destra, vi è un tavolo anatomico su cui fu posta la salma di Goffredo Mameli, padre del nostro inno nazionale, morto durante l’assedio francese alla Repubblica Romana nel 1849.
Al termine dello scalone si entra nella Sala Flajani. La Sala conserva ciò che è rimasto dell’Antico Museo voluto da Sisto IV, rappresentato principalmente dalla collezione delle Cere didattiche e da un campionario di reperti ossei e vascolari che servivano, nel settecento, all’istruzione ed alla didattica degli studenti di medicina.
Sempre nella sala troviamo un monumentale tempietto in legno: La macina della China, risalente alla fine del XVIII secolo e che serviva a triturare la corteccia di China, introdotta a Roma un paio di secoli prima ed unica arma efficace per la lotta alla malaria che colpiva ampie aree del Lazio, dalla Maremma meridionale alle paludi pontine.
Gli appassionati di piccole curiosità un po’ splatter, potranno anche ammirare nella sala una teca dove si conserva, secondo la tradizione, il cranio di Plinio il Vecchio, morto durante l’eruzione del Vesuvio che cancellò Pompei.
Nella successiva Sala Capparoni troviamo numerosi ex voto etruschi, romani, greci e moderni legati alla salute. Accanto a questi piccoli oggetti che ricordano l’ininterrotta preghiera dell’uomo per chiedere buona salute troviamo alcune piastrelle in ceramica invetriata rappresentanti “L’assistenza agli inferni” attribuite a Luca della Robbia.
Nelle vetrine successive ammiriamo ex voto moderni, modellati in cera ed ancora in uso oggi presso le popolazioni dell’ltalia meridionale e della Grecia, ed oggetti rituali e scaramantici, testimonianza del connubio indissolubile, tra paura dell’ignoto, pregiudizio e superstizione.
Tra i tanti possiamo trovare il flaconcino dell’olio degli scorpioni, utile per le morsicature degli animali velenosi; la triaca, le lingue serpentine, le pastiglie di terra sigillata provenienti dalla fonderia personale del Gran Duca di Toscana. Completano la particolare collezione, un prezioso “Corno di Liocorno“, animale immaginario il cui corno, in realtà un dente di Narvalo, era ricercatissimo fino al seicento per curare gli avvelenamenti, l’epilessia e la peste.
La sala conserva un raro Bezoar (in realtà un normale calcolo che si forma nello stomaco di molti ruminanti), che nel Cinquecento veniva utilizzato contro gli avvelenamenti. Una tradizione così radicata nella cultura “superstiziosa” europea che anche la scrittrice J. K. Rowling, lo fa utilizzare al suo protagonista Harry Potter per salvare l’amico Ron Weasley dall’Idromele avvelenato che ha involontariamente bevuto. Completa il viaggio in questa sezione dedicata alla superstizione una Corona di Ferro spagnola che si usava per la cura delle nevralgie della testa.
Nella successiva Sala Carbonelli, troviamo una collezione di strumenti chirurgici o diagnostici: antichi trapani per craniotomie, lancette per i salassi, seghe da amputazione, forcipi, specula, e via dicendo; uno degli oggetti più curiosi è la “siringa battesimale”, che veniva riempita di acqua santa ed utilizzata per battezzare in utero quei feti che rischiavano di essere abortiti. Perchè nella Roma papale la salvezza dell’anima, valeva quanto la salvezza del corpo del malato.
Completano i reperti ospitati in questa sala una grande vetrina contiene tutto l’armamentario chirurgico, dono che il Re Vittorio Emanuele II offrì al secondo Reggimento Granatieri di Sardegna, con accanto alcune cassette militari con cui si trasportava lo strumentario. E due apparecchi “‘storici” per l’anestesia: uno è il primo costruito nel 1914 su scala industriale a cloroformio ed etere, l’altro è uno dei primi modelli messi in commercio con l’avvento dell’uso del prodossido di azoto con ossigeno ed etere.
Terminate le sale storiche il percorso viene completato dalla visita alla perfetta ricostruzione di un’antica farmacia del XVII secolo. Sul bancone c’è la bilancia con cui lo speziale pesava le polveri e gli altri componenti medici. Per gli appassionati della materia consigliamo di completare l’esperienza visitando, sempre alla prima occasione utile in cui ci si potrà muovere, l’antica Spezieria di Santa Maria della Scala, nell’omonima piazza trasteverina, famosa a Roma per la produzione di “Acqua Pestilenziale” la cui formula, rigorosamente segreta, era ritenuta efficacissima contro la Peste, e l’altrettanto famosa Spezieria della Certosa di Trisulti, che il nostro Blog ha già visitato e descritto (LEGGI QUI)
Segue alla Farmacia la ricostruzione di un laboratorio alchemico, allestito in un ambiente che vuole simboleggiare la magia e la superstizione. Nel laboratorio vi è un calco della porta ermetica visibile nei giardini di Piazza Vittorio Emanuele, un contenitore in pietra del XVII secolo con coperchio e chiavistello usato per realizzare la theriaca, un camino con un forno dell’alchimista e altri attrezzi di alchimisti tra cui le storte, delle campane per ricoprire dei preparati o raccogliere dei gas ed un attrezzo usato per separare dei liquidi non miscelabili come l’olio e l’acqua.
In cerca delle tracce sanitarie per Roma
Terminata la visita, potete completare la vostra esperienza passeggiando per il centro storico della città e vedendo i diversi luoghi “magici e sanitari” che la nostra città ospita. Dei tre ospedali abbiamo già parlato, ma camminando per i rioni storici di Roma, perché non fermarsi davanti alle tante “madonnine antiche” piene di antichi “per grazia ricevuta” o davanti alle molte lapidi che invitavano alla elemosina nei confronti dei malati, incurabili, moribondi e finalizzati a finanziare le numerose Confraternite e Misericordie che ogni giorno, come la moderna Croce rossa, aiutavano e soccorrevano i deboli nella Roma pontificia.
Alla fine della giornata, terminate il percorso a Castel Sant’Angelo, alzando lo sguardo proprio alla statua dell’Arcangelo Michele, il famoso “Angelo de Castello” per tutti i romani.
Secondo la leggenda, nel 590 d.c., durante una processione apparve, sopra la Mole Adriana, a Papa Gregorio Magno, l’ Arcangelo Michele, nel gesto di rinfoderare la spada ad indicare la fine della pestilenza che stava decimando gli abitanti di Roma. Secondo la tradizione la pestilenza effettivamente cessò ed i romani realizzarono a ricordo, la statua dell’Angelo che ancora oggi si trova in cima al Castello, a protezione della città.
E noi questa volta vogliamo terminare il nostro racconto proprio con questa immagine, sperando che presto anche questo momento critico per tutti noi passi e finisca, la spada si rinfoderi nuovamente e la nostra vita, magari più ricca e matura riprenda e continui. Un grande in bocca al lupo a tutti! #andràtuttobene